Intervista di Claudio Finelli, responsabile cultura per Antinoo Arcigay Napoli, ad Antonello Sannino, segretario Arci Napoli, sulla morta di Maria Paola e i fatti di Caivano.
Antonello, come hai vissuto, da attivista per i diritti Lgbt, la drammatica vicenda della morte di Maria Paola a Caivano?
La vicenda della tragica morte di Maria Paola in seguito allo speronamento del fratello Antonio ci ha coinvolto nel profondo. Daniela Lourdes Falanga, presidente dei Antinoo Arcigay Napoli, ha seguito la vicenda in maniera particolarmente sentita, da attivista e da persona transgender. La morte di Maria Paola e la sua “storia d’amore negata” con Ciro non sono stati un fulmine a ciel sereno, perché purtroppo i casi di violenza ai danni delle persone LGBT (Lesbiche Gay Bisessuali e Trans) sono purtroppo all’ordine del giorno, e ci ha fatto rivivere il dramma di situazioni altrettanto gravi come quella di Sergio, cacciato di casa dai suoi familiari e costretto a vivere tra i topi, o come l’omicidio di Vincenzo Ruggiero, nostro militante barbaramente ucciso per futili motivi. Siamo purtroppo abituati a casi gravi, ma la storia di Caivano ha tutti i tratti della tragedia greca: c’è l’elemento del fratricidio, c’è il dramma di una ragazza giovanissima che perde la vita e c’è la storia d’amore negata dalle famiglie che si trasforma in tragedia. È un caso che ha visto la reazione immediata di tutto il Paese ma anche quella del quartiere in cui si è consumato il dramma che è il dramma di un amore interrotto dall’odio, di una giovanissima vita stroncata dall’odio. La reazione di quel quartiere non può rimanere un fatto isolato perché è una reazione importante: un quartiere più volte assurto agli onori della cronaca nera per fatti di degrado civile e sociale, si è schierato dalla parte dei ragazzi, dalla parte dell’amore e questo è un seme da coltivare per far nascere qualcosa di nuovo e diverso. Mi chiedo se per caso, nella tragedia di Maria Paola e Ciro, non possa ravvisarsi una specie di provvida sventura.
Credi che il contesto sociale in cui si è consumata la tragedia, cioè il Parco Verde di Caivano, dimensione periferico e socialmente degradato, sia la vera causa di questo fatto di cronaca?
L’ambiente sociale ha giocato indubbiamente un ruolo importante in questa storia ma questo tipo di tragedie non ha confini geografici o di quartiere. La transfobia e l’omofobia non hanno confini geografici in questo paese. Nei quartieri “perbene” queste discriminazioni sono silenti e anche più insidiose e magari, invece di sfociare in un caso di cronaca nera, sfociano in un suicidio che viene opportunamente coperto dalle famiglie. L’omotransfobia è viva in ogni quartiere di questo Paese. Certamente le grandi città offrono ai giovani LGBT più opportunità di liberarsi e vivere la propria vita, ma il livello di odio omotransfobico non è meno intenso. Oggi internet offre ai ragazzi un importante strumento di denuncia. I ragazzi e le ragazze denunciano, in maniera autonoma sui social, episodi di violenza ed esclusione e questo permette alle associazioni e alle istituzioni di raccogliere le richieste di aiuto e intervenire.
Cosa fare per arginare l’odio transfobico? Basta varare delle leggi ad hoc?
Ci vogliono le leggi certamente ma le leggi non bastano. È stata approvata, ad agosto, la miglior legge regionale contro l’omotransfobia proprio qui, in Campania, ma non bastano le leggi se non ci adoperiamo per produrre un cambiamento sociale e se non avviene un cambiamento culturale e della comunicazione. I media hanno un ruolo fondamentale nel modo in cui possono veicolare le notizie e nel modo in cui si possono destrutturare le paure e lo stigma. I media hanno una grande responsabilità e devono raccontare in maniera corretta le vicende di omofobia e transfobia. Le discriminazioni si sommano laddove le diversità non vengono raccontate in maniera corretta, in tal senso hanno una grande responsabilità anche la famiglia, la scuola e anche le istituzioni religiose, perché possono destrutturare le paure e creare i presupporti per la felicità delle persone LGBT. Non bastano le leggi ci vogliono interventi formativi e culturali.
Tu hai avuto modo di conoscere e parlare con Ciro, il ragazzo transessuale che aveva una relazione d’amore con Maria Paola. Come sta Ciro? Che impressione ne hai avuto, a livello umano ed emotivo?
Ciro è una persona straordinaria e ha una grossa empatia, è una persona sincera e onesta nel raccontare le sue emozioni. Ha comunicato in maniera lucida la purezza dei suoi sentimenti. Mi ha colpito quando Ciro ha detto ai giornalisti “noi abbiamo vinto, abbiamo vinto contro tutte è contro tutti”, mi ha ricordato la forza della vittoria nella poesia “I ragazzi che si amano” di Prevert perché quei versi ci raccontano la forza d’animo degli amanti che non ci sono per nessuno e che si amano anche contro il volere degli altri. C’è del materiale umano e poetico anche in questa storia – le parole di Ciro ne sono la prova – e perciò dobbiamo cogliere questo seme di umanità e di poesia che è cresciuto nel Parco Verde di Caivano, un seme di umanità e poesia che contrasta con l’omertà che di solito vince in certi contesti sociali.
Antinoo Arcigay Napoli, associazione di cui sei segretario, ha avuto una reazione dura e decisa verso le parole di Padre Patriciello che sembravano voler giustificare il gesto sconsiderato del fratello di Maria Paola. Ci puoi spiegare meglio la vostra posizione?
Le parole di padre Patriciello, che ha raccolto la testimonianza del fratello di Maria Paola e ha asserito che quest’ultimo voleva solo dare una lezione alla sorella ma non voleva ucciderla, sono parole inaccettabili. Una persona come Patriciello, che non è solo un uomo di chiesa ma è anche un riferimento in quel territorio, ha responsabilità importanti e non può fare dichiarazioni del genere provando a sminuire la gravità della circostanza. Posso anche comprendere laicamente cosa volesse dire Patriciello ma non è accettabile esprimersi in questo modo in determinate circostanze anche perché sappiamo cosa significa, in determinati codici, “dare una lezione”.
La morte di Maria Paola è anche conseguenza di odio misogino, oltre che transfobico?
Certamente questa vicenda è conseguenza di un diffuso atteggiamento misogino e patriarcale. L’omotransfobia è sorella prossima della misoginia e del patriarcato perché la matrice comune è quello di una cultura eteronormativa secondo la quale ogni comportamento e ogni gesto va assoggettato al controllo del potere maschile. Tutto in questo Paese ci riconduce ancora ad una cultura maschilista e fallocentrica, dalla simbologia fallica degli obelischi nelle piazze alla supposta legittimità che un fratello dia una lezione alla sorella perché non ne rispetta scelte e comportamenti.
Quando ci libereremo di questa cultura misogina e maschilista?
Io cito sempre il finale de La Gatta Cenerentola di De Simone, opera tratta da Lo Cunto de li Cunti di Basile: la protagonista dice “io so convinto che a questo mondo o tutte le femmine dovrebbero essere uomini o tutti gli uomini dovrebbero essere femmine o non dovrebbe ero esserci né uomini né femmine per fare tutti una vita quieta”. Insomma, finché non supereremo il binarismo di genere su cui è stata costruita la nostra società e finché il mondo sarà immaginato per maschi e per femmine – con i maschi contro le femmine e le femmine contro i maschi – e finché non riconosceremo in ciascuno di noi, al di là dell’orientamento sessuale, la compresenza di una componente maschile e una femminile, non riusciremo a liberarci da questo tipo di violenza sessista.
Come fare per scardinare l’immaginario violento e omotransfobico della nostra società?
Certamente la scuola è un luogo importante in cui gettare il seme del cambiamento. Noi come associazione entriamo in tante scuole e incontriamo migliaia di professori e alunni, cercando di confrontarci e di discutere su pregiudizi e stigma. La scuola è ancora un luogo in cui tanti docenti hanno paura di fare Coming out perché esiste ancora, nella mente di alcuni, il pregiudizio che un educatore non possa essere omosessuale. Bisogna temere quei dirigenti scolastici e quei professori che dicono che nelle loro scuole non ci sono fenomeni di omofobia o transfobia perché sono quelli i luoghi in cui, nel silenzio, prendono forma le manifestazioni di violenza ed esclusione più marcate, d’altronde basta fare un giro nei bagni delle scuole per leggere offese fondate sul diverso orientamento sessuale e capire come sia ancora forte il pregiudizio e l’omotransfobia.
Bisogna anche dire che il seme del cambiamento passa anche per Internet il cui impatto sociale è paragonabile alla scoperta del fuoco o della ruota, anche certi progressi nel campo dei diritti LGBT sono conseguenza diretta del nuovo tipo di socialità realizzato dalla rete che ha creato una grande connessione globale e universale. Internet permette ai ragazzi di maturare maggiore consapevolezza relativamente ai propri diritti e questo facilita anche la denuncia. Le nuove generazioni sono aiutate dalla rete anche se poi la rete va usata in maniera oculata senza perdere il contatto umano con l’altro. Io sono convinto che le nuove generazioni siano sempre migliori di quelle che le hanno precedute: siamo usciti dalla caverna e viaggiamo nello spazio e viaggeremo sempre più nello spazio. Io sono un ottimista circa l’evoluzione del genere umano anche se il medioevo è sempre in agguato e la morte di Maria Paola ce lo dimostra.
Infine, secondo te c’è un fil rouge che collega l’omicidio di Willy alla morte di Maria Paola?
Ci sono molte analogie tra la violenza subita da Willy e quella subita da Maria Paola. Sono entrambe espressioni dell’Italia post lockdown che ha drammaticamente riscoperto la violenza verso chi emarginato come differente o debole e per questo, ai differenti e ai deboli, “bisogna dare una lezione”. C’è una matrice socio culturale simile tra la violenza che ha condotto alla morte di Willy e a quella di Maria Paola, sebbene siano avvenute in contesti diversi. Due giovani vite spezzate dalla malvagità umana, dalla violenza, dall’intolleranza e dall’odio.