Intervista ad Antonello Sannino, Segretario Politico Comitato Provinciale Arci Napoli, ex Presidente Arcigay Napoli e tanti anni di militanza per la difesa dei diritti della comunità LGBT+.
- L’emergenza Coronavirus evidenzia moltissime criticità nel nostro sistema di supporto ai più deboli, agli invisibili, a chi viene spesso discriminato. Quali sono state le ripercussioni sulla comunità LGBT+?
Proprio di queste ore, ILGA (International Lesbian and Gay Association), nell’annullare l’annuale conferenza internazionale per l’emergenza coronavirus, lancia l’allarme del rischio di grande vulnerabilità delle persone LGBT+ durante e dopo la crisi covid19. Contemporaneamente, in Ungheria (Unione Europea, non dimentichiamolo), il premier Orban, dopo essersi conferito i pieni e straordinari poteri,si scaglia violentemente contro la comunità transgender privando le persone del diritto di poter ratificare i propri dati anagrafici e, di fatto, schedandole. Le parole usate nelle nuove disposizioni di Orban di queste ore sono da brividi e ricordano mostruosamente i termini usati dal regime nazista negli anni 30 del secolo scorso: “Cambiare il proprio sesso biologico è impossibile, i caratteri sessuali primari e le caratteristiche cromosomiche sono immutabili e non possono essere modificate da nessun ufficio di registro dello Stato civile magiaro”.
La crisi sociale ed economica innescata dall’emergenza Coronavirus potrebbe alimentare pericolosi percorsi, purtroppo già attivi prima dell’emergenza in diversi Paesi europei, di possibile arretramento sul piano dei diritti civili. Dobbiamo pensare a tutte quelle comunità che sono a rischio di forte vulnerabilità sociale, come i senza fissa dimora e tutte quelle persone già vittime di discriminazioni, tra queste le persone LGBT+.
In Italia, Telefono Rosa ha dichiarato che, in queste settimane di quaratena, le richieste di aiuto si sono dimezzate, nonostante è più alto il pericolo di violenze domestiche. Per questo resta alta la preoccupazione che questa convivenza forzata in famiglia potrebbe acuire le difficoltà (e le violenze) anche per tantissime persone LGBT+, che spesso trovano proprio in casa il luogo più complesso per vivere liberamente la propria identità.
È ancora difficile, purtroppo, per tanti e per tante, soprattutto nei piccoli e medi centri del nostro Paese, fare coming out e vivere serenamente la propria omosessualità o la propria transessualità in famiglia. Ad aggravare la situazione è che in tutto il Sud Italia non vi è una sola struttura di accoglienza per persone LGBT+ vittime di violenza o marginalità sociale (nella sola Francia per intenderci ve ne sono oltre 40) ed i piani sociali di zona, cosi come i centri antiviolenza, non ne contemplano in alcun modo il supporto e l’accoglienza. Pertanto le richieste di aiuto da parte delle persone LGBT+, che in queste ore stanno arrivando alle associazioni, trovano di fatto un enorme muro e pochissime possibilità di poter dare risposte adeguante.
- Dalla tua esperienza come operatore e volontario, soprattutto nella città di Napoli, quali altre criticità importanti hai da segnalare?
In queste settimane abbiamo segnalato diverse situazioni di criticità che possono in prima battuta apparire marginali e che invece potrebbero avere un grosso impatto sociale sull’intera collettività.
Il 4 marzo, Antinoo Arcigay Napoli insieme ai Radicali Napoli “Ernesto Rossi”, prima ancora che scoppiassero alcune rivolte in tutta Italia, avevano segnalato l’assenza di misure di contenimento adeguato nelle strutture penitenziarie e in particolar modo, per restare sul territorio, nella Casa Circondariale di Poggioreale, che con i suoi oltre 2000 detenuti, è la più grande struttura carceraria dell’Europa Occidentale; inoltre a quella data erano ancora in corso, senza particolari misure di protezione, i colloqui tra famiglie e detenuti.
A Poggioreale, per gli storici problemi di sovraffollamento, convivono in celle di pochi metri quadrati anche 8 o 10 persone. Le strutture carcerarie potrebbero diventare dei veri e propri incubatori con il rischio di estendere all’esterno possibili focolai infettivi anche attraverso gli operatori, i volontari e le guardie penitenziarie. Vi è una questione di notevole importanza che riguarda di fatto la sospensione del diritto, per le molte persone in attesa di giudizio o che potrebbero beneficiare di misure alternativa alla detenzione, causati a questo punto non solo dai ritardi già noti della nostra giustizia, ma anche dal fatto che questi risultano amplificati dall’emergenza sanitaria in corso. Non da meno potrebbe verificarsi una violazione di fatto della dignità e dei diritti dei detenuti, nella misura per la quale non venissero garantiti i diritti primari e inviolabili dell’individuo, primo tra questi il diritto alla salute.
Altra questione importante che abbiamo segnalato è quella dell’HIV: centinaia di persone, con una età media al di sotto dei 40 anni, rischiano di essere di fatto, per una immunodepressione causata dal virus dell’HIV, soggetti ad importanti rischi su una possibile infezione da coronavirus. Bisogna che sia reso disponibile, in farmacia e in ogni comune, per tutti e per tutte l’auto-test HIV. Bisogna agire subito.
- Ci sono in atto soluzioni per contrastare queste problematiche? Quali azioni per il prossimo futuro?
In modo schematico sviluppo le possibili soluzioni per punti:
- Questione violenza domestica ai danni delle persone LGBT+: attivare da subito casa alloggio per dare una prima risposta in emergenza e, contestualmente, strutturare senza esitazione alcuna un welfare adeguato per queste persone vittime di violenza di genere e di marginalità sociale anche per il dopo crisi coronavirus. Inoltre continuare ad investire in cultura e promozione dei diritti, per cui anche in questa fase rilanciare sull’approvazione di leggi regionali e nazionali, bloccate da anni, contro l’omotransbifobia e sull’approvazione della legge sul Matrimonio egualitario. Aumentare in generale i posti di accoglienza per tutte le comunità a rischio di forte marginalità sociale (senza fissa dimora, migranti, rom etc).
- Su HIV strutturare una diffusione capillare degli autotest in farmacia e, soprattutto, informare la popolazione (con le associazioni, ma anche con campagne social mirate) di questa opportunità. Attivare un servizio di consegna domiciliare, attraverso volontari, di farmaci antiretrovirali per persone che non riescono a raggiungere i centri specializzati.
- Per il carcere. Attivare meccanismi semiautomatici, per superare lo scoglio dell’ingolfamento dei tribunali, che permettono ai detenuti in attesa di giudizio o ai giudicati in maniera definitiva, non pericolosi e con condanne inferiori ai 3/ 4 anni, di poter accedere a misure alternativa alla detenzione in carcere. Fare i test rapidi (e /o tamponi) alla popolazione carceraria, agli operatori e alle guardie penitenziarie. Fornire di mascherine, guanti (si stanno usando i tablet come strumento in remoto per i colloqui con i familiari, ma senza guanti) e quanto altro utile come presidi di protezione individuali.
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